parte due

quando ho intrapreso il mio percorso di studio dell’ecoprint ciò che più ambivo era arrivare alla stampa perfetta

mi guardavo molto attorno e mi ero focalizzata su alcuni risultati ottenuti dai migliori del campo e di quelle immagini avevo fatto il mio principale obiettivo

ho iniziato a provare sulle mie prime tele di cotone e su un lino grezzo sempre con l’aspettativa di arrivare velocemente al risultato sperato

la complessità in questa tecnica di lavorazione sta nella sua grande instabilità: ci si può aspettare, con l’esperienza, un certo tipo di “risposta pianta-tessuto” ma il vero risultato lo si scopre solo alla fine

e così per ogni tela che mi rendeva soddisfatta di ciò che avevo ottenuto ce n’erano almeno altre tre che proprio avrei voluto non aver mai prodotto: sbavate, indefinite, davvero poco presentabili

non le avevo buttate anche se avrei potuto farlo, le tenevo lì con tutte le altre, quelle belle, tutte ripiegate insieme in bella vista

e quando ho compreso che il mio errore era l’aver cercato di saltare tutti i passaggi che solo con l’esperienza mi avrebbero portato a poter realizzare la stampa perfetta, ho deciso di riprendere in mano tutto e ripartire

la stampa perfetta non l’ho ancora ottenuta, anche se ci sono pezzi dei quali vado enormemente fiera, ma posso dire di aver imparato a riconoscere gli errori che continuo a commettere tanto che a volte mi sembra quasi di saper più cose su quelli che sul resto

sono ancora in cammino ma stavolta sento di essere sul sentiero giusto

[1] una parte del mio archivio personale
[2] acero saccarino sbavato su lino per coperta troppo umida
[3] pruno dal lato del sole su seta
[4] sfondo troppo scuro per coperta ferrosa troppo carica

sinestesia

se penso alla parola felicità la immagino arancione🧡

se penso alla parola NATURA la immagino di un verde oliva, aldilà che i panorami siano di montagna, di mare o di collina

il SABATO per me è di un color azzurro cielo e questo a prescindere dalla stagione

questa forte associazione espressiva tra le parole parole e le sfere sensoriali come ad esempio il colore, si chiama #sinestesia ed è una cosa che mi accompagna da che ne ho memoria

per me tutto ha un colore: le parole, le lettere e più di tutto i numeri

e quella che credevo una mia stranezza (e tenevo per me) ho scoperto invece essere un’impronta digitale molto diffusa tanto che, quando mi capita, mi fa sorridere

perche alcune volte ritrovo i miei stessi colori, altre scopro nuove palette

voi la conoscevate?
vi capita mai di associare a qualcosa un colore o una sensazione palpabile?
vi va di raccontarmene qualcuna?

non solo qui ma anche sotto al post su Instagram!

io ad esempio se penso ai SABATI NEL FOSSO di Natura Maestra detti così, tutto insieme, penso al ROSSO

forse proprio perché è il colore della passione, dell’amore, delle ciliegie e del martedì (che non c’entra ma che è comunque rosso)

❤️

Ps: il lunedì è marrone, ma è solo un puro caso😝

non ho mai smesso di annusare

i miei nonni materni hanno sempre avuto un maglificio, uno di quei laboratori di artigianato dove ha inizio la fabbricazione degli indumenti di maglia.
Era il loro lavoro di una vita.
Li ricordo chini tra i telai rumorosi ad annodare i capi delle rocche di filato o sui tavoli luminosi intenti a controllare che i teli non avessero punti mancanti.
A volte ci adoperavamo anche noi piccoletti, a modo nostro, reggendo in mano parti di quei teli in attesa che un macchinario a dir poco bizzarro li sfilasse completamente per ricompattarli in nuovi rocchetti da riutilizzare.
Quando da piccola passavo qualche settimana estiva in vacanza da loro insieme ai fratelli ed i cugini non mancava mai la ricerca furtiva di qualche pezzo di telo nel cestone degli scarti.
Quei cestoni profondi con le ruote anche troppo piccole spesso bloccate da qualche matassa di filo arrotolato per caso nello spostamento da una stanza all’altra erano per noi la panacea dei nostri giochi in giardino.
Sotto ad un semicerchio di pini alti trascinavamo e tendevamo capanne fatte di teli spesso impolverati e pieni di aghi di pino, erba e pezzi di muschio.
Troppo pesanti per il caldo umido della pianura reggiana, con quel caratteristico odore di filato che solo chi è mai entrato in un maglificio può riconoscere e comprendere.
Mai avrei pensato che, da grande, alla fine sarei tornata a quello che facevo da piccola.
In misura diversa, dentro a scarpe diverse.
Alla fine sto tornando (in parte) da dove ero partita e forse è per questo che non ho mai smesso di annusare i tessuti, come a ricercarne un odore famigliare.
Per riconoscere il mio posto.

#ecoprinting

natura maestra

qualcuno disse

per compiere grandi passi non dobbiamo solo agire, ma anche sognare

non solo pianificare, ma anche credere

quando abbiamo preso in mano questo progetto, tanta gente ci ha sostenuto, chi entrando in punta di piedi e chi correndo.

perché Natura Maestra?

perché la natura è maestra di vita, lo è da sempre, semplicemente a volte tendiamo a dimenticarcene.

la natura, con i suoi ritmi, con il suo linguaggio, con la sua imparzialità anche, è educatrice, è maestra appunto.

vi siete mai fermati ad osservare come giocano i bambini quando sono davvero liberi?

quando possono fermarsi con i piedi a penzoloni su un albero o chini dentro ad un fosso?

giocano in modi totalmente diversi, con tempi completamente diversi: alcuni di loro non sanno nemmeno salirci su un albero, altri impiegheranno giorni o settimane di prove, altri ancora l’albero nemmeno lo guarderanno.

eppure ognuno di loro sta scoprendo qualcosa, sta facendo un esperienza che le o gli insegnerà qualcosa che porterà con se per sempre: ci sta prendendo le misure.

con se stessa o se stesso ed il Mondo intendo.

la natura non è imparziale, nemmeno noi lo siamo fino in fondo.

ma la natura restituisce a chi la ascolta, la comprende e la rispetta, il tempo, il fascino, la fame di ricerca, il sogno e lo stupore.

in poche parole, noi stessi.

la natura è maestra perché la natura ci restituisce a noi stessi.

se sappiamo abbracciarla ed accoglierla, e questo lo sappiamo fare da sempre, semplicemente a volte tendiamo a dimenticarcene.

ringraziare chi ci ha sostenuto ed ha creduto e credo in noi, ci sembrava più che doveroso e da mesi tenevamo per noi questo video, indecisi se pubblicarlo o meno.

avevamo paura fosse interpretato come qualcosa di auto-celebrativo, che non fosse compreso.

ed invece è stato da subito amato, ed ora è anche qui, per essere di tutti.

Natura Maestra è un progetto promosso da L’Indaco atelier di ricerca musicale ed espressiva

a cura di Mimmo Spaggiari e Elizabeth Tagliavini, atelieristi

seguici attraverso i nostri canali per rimanere aggiornato sulle prossime iniziative:

http://www.lindacoatelier.it

http://www.facebook.com/lindacoatelier

http://www.instagram.com/lindacomusica

l’Indaco Atelier di ricerca musicale ed espressiva ONLUS vi aspetta a Reggio Emilia in via Aristide Gabelli 12 nella cornice del parco delle Acque Chiare

serendipità

non vi ho mai raccontato di quella volta in cui il forno della creta non entrò in funzione e di come, in uno scambio di sguardi, ci ritrovammo per le mani qualcosa di imprevisto e di magnifico allo stesso tempo

da una settimana lavoravamo a quel progetto carichi di soddisfazione e di aspettative: avevamo portato al piano superiore i vassoi colmi di vasi di creta non con poche difficoltà

avevano lasciato andare al sole le ultime goccioline di acqua e la loro superficie polverosa si preparava ad indossare l’ultimo abito

amo il momento prima dell’infornata, perché è il momento nel quale ci si prepara alla magia: si affida a quel grembo il proprio lavoro e si attende fino a quando quel coperchio potrà essere riaperto

la corrente elettrica scattò diverse volte quella notte ed il forno della creta non raggiunse mai la temperatura adatta per cuocere quei vasi che rimasero pertanto semi nudi

lo scoprimmo solo la mattina stessa quando pronti per riaprire quello scrigno, ci ritrovammo per le mani quell’amara sorpresa

due sguardi veloci con @mimmospaggiari e milioni di domande ma più di tutte: e adesso che si fa? si farà altro e si farà con quel che si ha

fu così che raccogliendo terra umida dal fosso, piantine qua e la nella distesa del prato e lungo il boschetto, sassi, qualche guscio di lumaca ed un muschio meraviglioso che Fioreria Il Chiosco di Lidia riuscì a consegnarci in tempi record che prese forma quello che ancora oggi ricordiamo con affetto ed incredibile soddisfazione come la più grande espressione della semplicità e della serendipità: i Kolkegom

Kol-ke-gom nel nostro dialetto reggiano significa letteralmente “ciò che abbiamo” perché è questo che sono i nostri kokedama nostrani: un piccolo pezzo di Natura Maestra del quale prendersi cura

la più grande forma di amore e di accoglienza, simbolo vivente della più grande manifestazione di serendipità di quella giornata

stavamo cuocendo vasi di creta e ci siamo ritrovati per le mani piccoli pezzi di Natura Maestra, di erba e di piante, di fosso e di sole da affidare a nuove famiglie

ed i vasi?

li abbiamo cotti dopo un paio di giorni, fortunatamente erano integri e solo crudi e sono andati nelle loro nuove case

il titolo sceglietelo voi

siamo legati ad ogni nostro progetto da un forte sentimento, da un affetto quasi genitoriale lo si potrebbe definire

e non perché ci sentiamo proprietari di quel singolo traguardo, ma perché ci sentiamo visceralmente legati ad ogni suo passaggio, a partire dalla prima intuizione alle parole che lo hanno accompagnato, dagli schizzi a matita su un foglio alla sua finale presentazione quando lascia l’atelier e lo vediamo salire a bordo di un’automobile che si allontana lungo il polveroso vialetto

e dietro al finestrino, gli occhi felici di un bambino o di una bambina ci dicono che un nuovo viaggio è appena iniziato

anche le nostre cornici d’autore sono nate così: alla fine di un lungo percorso, come simbolo di tutte le ricerche, le curiosità, le conoscenze acquisite insieme

le abbiamo desiderate e pensate un pomeriggio, seduti al tavolo, accaldati davanti ad una borraccia di acqua fresca: ore passate a capire quali materiali scegliere e come coniugare insieme esperienze molto diverse tra loro in un progetto armonico che fosse la più alta dichiarazione di ciò che era stato in quei mesi

non avevamo idea di cosa sarebbe accaduto fino a quando non è accaduto: sono nate, e non solo era bellissime, ma erano piene di tutto quello che sarebbe stato impossibile raccontare a parole

e sono partite per il loro nuovo viaggio, nelle case di ciascun bambino o bambina che abbiamo visto allontanarsi lungo il vialetto impolverato, dietro ad un finestrino, con gli occhi che ridevano

e ci siamo emozionati, io tantissimo almeno (parlo per me) ma sono certa che anche per il mio compagno di viaggio mimmospaggiari fosse lo stesso

Ogni fine crea spazio per un nuovo inizio, iniziamo?

caffè e polaroid

la prima volta che ho visto lo sviluppo di una fotografia fu nell’ufficio di mio padre quando trovai su uno scaffale una polaroid dei primi anni ‘90

divorai un intera ricarica di pellicole scattando improbabili primi piani: occhi grandi e frangetta bionda in un mix sfocato di autoscatti che uscivano uno dopo l’altro da quella nera bocca sottile

la prima volta che ho avuto una macchina fotografica a rullino tutta mia ho fotografato ciò che più mi piaceva perché rimanesse fermo lì, in quel tempo, in quello scatto: una collezione di pellicole alle quali, se ci ripenso, fatico a dare un senso oggi

la prima volta che ho capito il senso di una fotografia, non avevo una macchina fotografica con me, ma una camera oscura, una lampadina rossa, delle mollette di metallo, e della carta fotosensibile

ed ho ripensato a quella prima volta, a quelle polaroid sparse a caso sul pavimento e la sgridata di mio padre sgomento davanti ad un caricatore vuoto

e ho capito:

la fotografia è una finestra che non deve essere afferrata e trattenuta con forza, la fotografia è scelta e bisogna saperla aspettare, averne rispetto per apprezzarla veramente

poco importa se qualcuno non ne coglie la bellezza, o se ne legge una sfumatura diversa dalla nostra

la fotografia, disse Pierre Movila, non è che l’arresto del cuore per una frazione di secondo

di chi scatta, di chi osserva

rivorrei le tane del nascondino

rivorrei le tane del nascondino, quelle dove in due si stava stretti ed allora ci si avvicinava di più, per non farsi vedere, ma si finiva sempre per ridacchiare rumorosamente

rivorrei le cartoline delle vacanze, quelle dei viaggi fatti in macchina con l’audiocassetta dell’ultimo Sanremo e la testa appoggiarla al finestrino

rivorrei i sandali di gomma in estate, quelli che segnavano l’abbronzatura sui piedi impolverati, che si rompevano sempre davanti lasciando uscire le dita

rivorrei la catena della bicicletta a terra e le mani nere, il ghiacciolo al limone che rinfresca, quello all’amante a che colora la lingua di rosso e quello alla menta che non mangia mai nessuno

rivorrei le manine di gomma appiccicate alla parete, il tasto EJECT del videoregistratore, le dediche sul diario di scuola, l’appuntamento con POP e CIOÈ

tu cosa rivorresti?

come si fa a resistere ad una pozzanghera?

COME SI FA A RESISTERE ad una pozzanghera?

le pozzanghere sono uno degli universi proibiti del mondo dei grandi: quando eravamo piccoli spesso ce lo sentivamo dire che no, ci si bagna nelle pozzanghere!

ma quante cose ci bagnano e ci lasciano il segno senza darci la stessa libertà di un salto a piedi pari in una pozzanghera?

io credo che non si possa, o meglio, voglio credere che proprio non sia possibile non cedere alla voglia di entrarci dentro

le pozzanghere portano il cielo vicino ai nostri piedi

e dunque se proprio non può fare a meno di piovere, allora saltiamoci dentro a queste pozzanghere, saltiamoci a piedi pari, saltiamoci forte che se ci bagniamo, chissenefrega

i vestiti asciugheranno, le scarpe pure, ma quel sorriso no, non andrà via

non c’è modo di saltare senza bagnarsi: è una costante che non lascia indietro nessuno, nemmeno chi se ne sta fuori a guardare

stamattina mentre scrivevo queste righe pensavo a chi, vicino a me, non ha scelto la sua pozzanghera ma semplicemente ci è stato sbattuto dentro e forse, di saltare, non riesce più perché quei vestiti, quelle scarpe sono diventati troppo pesanti e la pozzanghera, quella, non è divertente come le altre

“non c’è modo di saltare senza bagnarsi: è una costante che non lascia indietro nessuno, nemmeno chi se ne sta fuori a guardare”

SALTIAMO INSIEME, SARÀ PIÙ LEGGERO

TI TENGO LA MANO E QUANDO SARAI TROPPO STANC* TI DIRÒ
“DAI ANCORA UN SALTO, È L’ULTIMO PROMESSO”

sai che non sarà così, ma saremo insieme ♥️

siate gentili e non smettete di saltare nelle pozzanghere