caffè e polaroid

la prima volta che ho visto lo sviluppo di una fotografia fu nell’ufficio di mio padre quando trovai su uno scaffale una polaroid dei primi anni ‘90

divorai un intera ricarica di pellicole scattando improbabili primi piani: occhi grandi e frangetta bionda in un mix sfocato di autoscatti che uscivano uno dopo l’altro da quella nera bocca sottile

la prima volta che ho avuto una macchina fotografica a rullino tutta mia ho fotografato ciò che più mi piaceva perché rimanesse fermo lì, in quel tempo, in quello scatto: una collezione di pellicole alle quali, se ci ripenso, fatico a dare un senso oggi

la prima volta che ho capito il senso di una fotografia, non avevo una macchina fotografica con me, ma una camera oscura, una lampadina rossa, delle mollette di metallo, e della carta fotosensibile

ed ho ripensato a quella prima volta, a quelle polaroid sparse a caso sul pavimento e la sgridata di mio padre sgomento davanti ad un caricatore vuoto

e ho capito:

la fotografia è una finestra che non deve essere afferrata e trattenuta con forza, la fotografia è scelta e bisogna saperla aspettare, averne rispetto per apprezzarla veramente

poco importa se qualcuno non ne coglie la bellezza, o se ne legge una sfumatura diversa dalla nostra

la fotografia, disse Pierre Movila, non è che l’arresto del cuore per una frazione di secondo

di chi scatta, di chi osserva